Ci sono mesi in cui tutto fila liscio, e poi ci sono quelli in cui il mondo decide di spalancare le finestre e far entrare una ventata di pura, esplosiva imprevedibilità. È proprio qui che vogliamo stare: dentro il vortice luminoso del caos, tema del mese di Dicembre sul nostro blog. Non il caos che spaventa, ma quello che accende scintille creative, che scuote le idee, che scompone e ricompone la realtà in modi inaspettati.
Da sempre il caos è un compagno segreto degli artisti.
Basta guardare la danza di colore di Pollock: gocce, schizzi, movimenti che sembrano casuali e invece pulsano della precisa energia del gesto. O le installazioni traboccanti di Hirschhorn, accumuli che trasformano il disordine in universi alternativi. In letteratura, poi, il caos diventa architettura invisibile: Joyce che lascia scorrere la mente come un fiume in piena, Calvino che costruisce città impossibili dove la logica è quella del sogno.
E la fotografia? Lei ha un rapporto ancora più intimo con il caos: lo incontra per strada, lo studia negli angoli, gli fa un cenno e lo trasforma in racconto.
Fotografare il caos significa accettare che l’immagine non sarà mai perfettamente controllata. È giocare con multi esposizioni che fanno intrecciare mondi diversi in un unico fotogramma, lasciare che un tempo di scatto un po’ troppo lungo sciolga le luci del traffico in scie vibranti o renda una folla un’onda di corpi in movimento. Significa perdersi nelle città vive e rumorose, nei mercati affollati, negli incroci che brulicano di traiettorie imprevedibili. Oppure affrontare la natura quando smette di essere gentile: il mare che si infrange senza ritmo, i boschi fitti che si aggrovigliano, il vento che strappa ordine alle cose.
E poi c’è la bellezza delle imperfezioni: linee storte, orizzonti sbilanciati, elementi indesiderati che invece di “rovinare” una foto la rendono più vera. Nel caos, le regole si piegano, e proprio lì nasce qualcosa di sorprendente.
Perché raccontare il caos? Perché è vivo. Perché ci ricorda che la realtà non è fatta per essere sempre in equilibrio. Perché dentro il disordine, spesso, si nasconde una poesia che vale la pena fermare, almeno per un secondo, dentro un’immagine.