
Il caos è qualcosa che tutti conosciamo molto bene: ci vive accanto, ci attraversa, a volte ci travolge. Nella fotografia contemporanea, però, il caos non è solo un disordine da evitare, ma un materiale pieno di possibilità. Lo si vede subito guardando le immagini di Cornelia Parker in “Cold Dark Matter: An Exploded View”, dove un semplice capanno da giardino viene fatto esplodere e ogni pezzo viene poi sospeso nell’aria. L’opera sembra un’esplosione congelata, un momento che non dovrebbe esistere perché appartiene a un tempo troppo veloce per essere osservato. Guardandola, si ha la sensazione di vedere la vita nei suoi attimi più fragili, quando tutto si rompe ma allo stesso tempo si ricompone in una nuova forma.
Con “Fragmented Space”, Esther Stocker ci porta invece in un caos fatto di linee e geometrie. Entri in una stanza che sembra perfettamente ordinata e poi, improvvisamente, qualcosa non torna: le linee si spezzano, le griglie si inclinano, le superfici si sfaldano come se stessero perdendo pazienza. Il suo caos non nasce dal disordine, ma dalla sensazione che l’ordine stesso si stia ribellando. È un gioco visivo, un piccolo cortocircuito per lo sguardo.
Urs Fischer sceglie un caos ancora più attuale e tecnologico con il progetto “CHAOS #1–#1000”. Oggetti comuni – una banana, un martello, un accendino – vengono scansionati e trasformati in modelli 3D che si muovono e si scontrano in modi del tutto imprevedibili. Non c’è una mano umana dietro quei movimenti, ma un algoritmo. Il risultato è una sorta di confusione digitale che ci fa riflettere su quanto, oggi, la linea tra reale e virtuale sia diventata sottile.
Rana El Nemr, nella serie “Giza Threads”, guarda invece al caos quotidiano delle città. Non quello eclatante, ma quello silenzioso: una tenda fuori posto, una crepa sul muro, un oggetto lasciato da qualcuno e dimenticato lì. Le sue foto ci ricordano che il caos urbano non è sempre spettacolare, spesso è fatto di dettagli minuscoli che raccontano storie invisibili. È un caos che cresce da solo, pezzo dopo pezzo, mentre nessuno lo osserva davvero.
Infine, Paul Foley ci accompagna nel caos naturale con “Wonderful Chaos”, dove il mare si trasforma in un intreccio di linee morbide, onde che scivolano una nell’altra senza confini netti. Le sue immagini non mostrano più l’acqua come la conosciamo, ma come un movimento continuo, un respiro. Qui il caos non è agitazione, ma armonia imprevedibile, qualcosa che somiglia molto alla vita quando smettiamo di volerla controllare.