[…]Mettimi tra la gente e mi sento … sopraffatta.
Con queste parole Esther Bubley ha descritto la sensazione che provava immersa nella folla, una condizione che per lei non era confusione ma pura ispirazione.
Nata nel 1921 in un piccolo paese del Wisconsin, fin da giovanissima seppe trasformare il suo sguardo in un dono per tutti: cogliere la bellezza del quotidiano, restituire dignità ai gesti più semplici e mostrare che anche una fermata d’autobus o una sala d’attesa possono raccontare storie straordinarie.
Armata prima di una Rolleiflex, Bubley girava tra la gente senza invadere, osservando con discrezione, cercando quella scintilla di verità che solo un occhio attento e sensibile riesce a catturare.
Questa scelta non era casuale: la Rolleiflex era relativamente discreta per l’epoca, consentendo di fotografare scene di vita quotidiana senza disturbare i soggetti. Successivamente passò a macchine 35mm più compatte, ideali per muoversi rapidamente tra la folla e catturare momenti spontanei, una vera necessità nella street photography.
Dal punto di vista della composizione, Bubley mostrava un controllo notevole. Sfruttava la luce naturale in maniera molto fine, spesso fotografando in interni poco illuminati o all’aperto con sole filtrato, riuscendo comunque a mantenere un contrasto equilibrato e una gamma tonale ricca. Era attenta ai tempi di esposizione per congelare l’azione senza perdere nitidezza, e al diaframma, bilanciando profondità di campo e soggetto principale.
Un altro aspetto tecnico molto significativo era il suo approccio alla prospettiva e all’inquadratura. Spesso scattava inquadrature leggermente oblique o centrava il soggetto in modo insolito, creando una sensazione di immediatezza e intimità. Nonostante la cura tecnica, le sue immagini non risultano mai “studiate” o artificiali: la precisione era al servizio della spontaneità.
Infine, Bubley era molto brava nella post-produzione in camera oscura. Come molti fotografi dell’epoca, stampava personalmente le foto, curando esposizione, contrasto e grana per ottenere quell’equilibrio tra realismo e poesia visiva che caratterizza tutta la sua produzione.
È in questo equilibrio tra tecnica e umanità che si nasconde la sua grandezza: non inseguiva lo spettacolare, ma sapeva trasformare l’ordinario in racconto visivo.
Negli anni Quaranta e Cinquanta, quando il mondo della fotografia era dominato dagli uomini, lei riuscì a conquistare riviste come Life e Ladies’ Home Journal, firmando reportage che parlavano non solo di America, ma di vita.
Non a caso Edward Steichen la volle nella leggendaria mostra The Family of Man, un segno tangibile della sua importanza nel panorama internazionale.
La sua eredità è custodita in libri come Esther Bubley: On Assignment e Fields of Vision, ma soprattutto nelle centinaia di fotografie che continuano a insegnarci quanto sia potente uno sguardo sincero.
Per le generazioni future di street photographers, Bubley rimane una guida silenziosa ma decisiva: ha dimostrato che la strada non è solo teatro di caos e movimento, ma anche un luogo dove fermare il tempo e raccontare la poesia del quotidiano. In un’epoca in cui siamo sommersi da immagini, la sua lezione è più attuale che mai: guardare meglio, più a fondo, e capire che ogni volto, ogni gesto, ogni piccolo frammento di vita merita di essere raccontato.
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Wim Teuwen
Wim Teuwen
1 mese fa

Grazie amici fotografici. Non li conoscevo ancora. Nel frattempo ho trovato un libro per la mia biblioteca. Ottima ricerca e testo, qualcosa in cui eccelli.

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