“L’arte dovrebbe confortare i disturbati e disturbare i confortati.”
[Banksy]
Chi è davvero Banksy? Nessuno lo sa con certezza. Un’ombra con lo spray in mano, un genio dell’arte urbana, un fantasma che dipinge verità scomode sui muri delle città.
Nato probabilmente a Bristol intorno al 1974, Banksy ha scelto l’anonimato come manifesto artistico, trasformando le strade in tele e le sue opere in provocazioni poetiche. Con uno stile immediatamente riconoscibile, fatto di stencil precisi e messaggi taglienti, ha cambiato per sempre la percezione della street art, portandola dai sottopassi al mercato dell’arte contemporanea con un’ironia sottile e una genialità disarmante.
La sua arte è un urlo colorato contro l’ingiustizia, il consumismo, la guerra e l’ipocrisia sociale, e allo stesso tempo un inno sfacciato alla creatività libera, quella che nasce fuori dai confini, dalle scuole e dalle gallerie patinate.
Tra le sue opere più creative c’è senza dubbio “Girl With Balloon”, forse il suo lavoro più iconico, in cui una bambina lascia volare via un palloncino rosso a forma di cuore: simbolo struggente di speranza, amore perduto o innocenza che sfugge, l’opera ha fatto scalpore quando si è autodistrutta durante un’asta da Sotheby’s subito dopo essere stata battuta per oltre un milione di sterline, diventando così “Love is in the Bin”, la prima opera d’arte creata in diretta durante una vendita.
Era il 5 ottobre 2018, sala piena alla casa d’aste Sotheby’s di Londra. L’opera viene battuta per 1,2 milioni di sterline. Applausi, foto, brindisi. Ma appena il martelletto sancisce la vendita, succede l’impensabile: dalla cornice parte un rumore meccanico e la tela comincia a scivolare verso il basso, passando attraverso una lama nascosta e tagliandosi a strisce come in un tritacarte. Il panico si trasforma in stupore e poi in ovazione: Banksy aveva installato di nascosto un meccanismo di autodistruzione nella cornice anni prima, pronto ad attivarsi al momento giusto. Il colpo è servito: una critica feroce al mercato dell’arte che trasforma il messaggio in merce, che compra ribellione e la incornicia. Ma il vero colpo di genio? L’opera, ora dimezzata, ha raddoppiato il suo valore e ha cambiato titolo in “Love is in the Bin”. In un solo gesto, Banksy ha ridicolizzato il sistema, elevato la provocazione a performance artistica e dimostrato che la creatività, quando è vera, non si può contenere nemmeno in una cornice d’oro.
Un’altra tra le opere più celebri e provocatorie di Banksy è “Napalm (Can’t Beat That Feeling)”, realizzata nel 2004. È una delle sue immagini più disturbanti e scioccanti, che colpisce con la forza di un pugno allo stomaco: al centro, la famosissima bambina vietnamita in fuga dopo un attacco al napalm, immortalata nella storica foto di guerra di Nick Ut del 1972. Ma qui Banksy compie un cortocircuito visivo: la bambina, nuda e urlante, viene tenuta per mano da due personaggi del mondo pop – Ronald McDonald da una parte e Mickey Mouse dall’altra, entrambi sorridenti e perfettamente sereni.
L’opera è una critica alla cultura capitalista. Mickey e Ronald rappresentano simboli globali di intrattenimento e cibo-spazzatura, e vederli sorridere mentre accompagnano una bambina traumatizzata dalla guerra è una denuncia contro l’indifferenza e l’ipocrisia dell’Occidente.
L’opera “Rage, The Flower Thrower”, spesso chiamata semplicemente The Flower Thrower, è una delle immagini più iconiche e potenti di Banksy, un vero manifesto visivo della sua filosofia artistica e politica. Apparsa per la prima volta nel 2003 su un muro di Gerusalemme Est, in un’area segnata da tensioni e conflitti profondi, l’opera raffigura un ragazzo con il volto coperto, nell’atto di lanciare un oggetto con forza e rabbia… ma non si tratta di una molotov o di una pietra: tra le sue mani c’è un mazzo di fiori colorati.
La forza di questa immagine sta proprio nel contrasto radicale tra gesto e oggetto: l’atto tipico della violenza urbana viene trasformato in un gesto simbolico di pace, bellezza e speranza.
Un altro episodio che racconta perfettamente la genialità fuori dagli schemi di Banksy è quello in cui ha “infiltrato” una sua opera all’interno del British Museum di Londra, senza alcun permesso, e incredibilmente nessuno se n’è accorto per giorni. Era il 2005 e l’artista creò una finta opera archeologica: un frammento di pietra dipinto con la figura di un uomo preistorico che spinge un carrello della spesa; una satira fulminante sul consumismo moderno.
Vestito da normale visitatore, Banksy entrò nel museo, trovò una parete adatta e appese il “pezzo” con tanto di didascalia finta: “Early man goes to market, c. 2000 B.C.” .
Il personale del museo non se ne accorse per almeno tre giorni. Nessuno lo rimosse, nessuno lo notò. Solo quando la stampa ne parlò e l’aneddoto divenne virale, il British Museum si rese conto della burla. E, invece di offendersi, ha deciso di acquisire l’opera nella collezione permanente!
L’ultimo lavoro confermato di Banksy è apparso a Marseille, in Francia, nel maggio del 2025: l’artista ha postato su Instagram una fotografia di un murale-lighthouse, posizionato in un vicolo di Rue Félix Frégier, nel quartiere di St‑Lambert.
Nel murale si vede il profilo bianco‑nero di un faro, il cui fascio di luce sfrutta l’ombra naturale di un paletto stradale proprio sugli scuri della parete.
Sopra campeggia la frase “I want to be what you saw in me”, una citazione ricca di suggestione, forse tratta della canzone Softly dei Lonestar.
Il pezzo non ha una valenza politica esplicita, ma rappresenta un’ulteriore evoluzione della poetica di Banksy: la capacità di trasformare un elemento urbano qualunque in un’incredibile illusione visiva.
Banksy è ovunque ma non si fa trovare, il suo canale ufficiale è il sito www.banksy.co.uk, l’unico affidabile per seguire le sue creazioni e incursioni artistiche.
Ogni sua opera è un’esplosione di creatività pensata per scuotere, divertire, far riflettere. Banksy non dipinge per decorare, ma per destabilizzare, per aprire varchi nel pensiero comune e spingerci a guardare oltre le apparenze. Ed è forse proprio questa la sua più grande opera d’arte: aver reso la creatività una forma di resistenza, un’arma sottile ma potentissima per cambiare il mondo.
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