
Ogni mia opera nasce da un’ossessione che non posso ignorare. L’arte è la mia medicina, la mia liberazione, la mia eternità.
[Yayoi Kusama]
Nel mese di maggio, noi di TSO abbiamo deciso di affrontare con voi il tema dell’ossessione nell’arte, nella scrittura, nel cinema e nella fotografia.
Tra gli artisti che più di ogni altro hanno fatto dell’ossessione non solo un soggetto, ma una vera e propria pratica di vita e di creazione, Yayoi Kusama occupa un posto unico.
Artista giapponese nata nel 1929 a Matsumoto, Kusama ha vissuto e lavorato tra Giappone e Stati Uniti, attraversando con originalità i movimenti dell’avanguardia, dalla Pop Art alla performance, mantenendo però uno stile e una visione assolutamente personali. Fin da bambina soffre di disturbi ossessivo-compulsivi e allucinazioni visive: vede punti, motivi geometrici e forme che si moltiplicano e invadono il suo campo visivo. Queste visioni non sono mai scomparse. Anzi, sono diventate la linfa creativa che alimenta tutta la sua produzione artistica. L’arte per Kusama non è solo espressione, è terapia. Ripetere, moltiplicare, coprire, ordinare: sono gesti di sopravvivenza, ma anche atti poetici.

Una delle sue opere più iconiche è la serie delle Infinity Mirror Rooms: stanze chiuse, rivestite interamente di specchi, dentro cui luci, oggetti sospesi e motivi si moltiplicano all’infinito. Entrare in queste installazioni è come entrare nella mente di Kusama. Lo spazio diventa illusorio, senza confini, ripetuto all’eccesso. L’identità si perde, lo spettatore si dissolve nel tutto. Le stanze, spesso illuminate da piccole luci sospese, pulsano come un universo vivo. In questo ambiente specchiante e senza fine, Kusama mette in scena il suo tentativo di perdersi – o forse di liberarsi – nella ripetizione ossessiva del sé.

Un altro ciclo fondamentale è quello delle Infinity Nets: grandi tele monocrome interamente coperte da piccolissimi archi o reticoli dipinti a mano, uno accanto all’altro, in una trama che può ricordare il mare in tempesta, una membrana vivente o una ragnatela cosmica. Ogni segno è fatto con un gesto lento e ripetitivo. L’artista, da sola, copre ogni centimetro della tela con una precisione maniacale. L’ossessione qui diventa metodo, trance, meditazione. Kusama ha raccontato di aver iniziato queste opere negli anni Cinquanta, come reazione diretta a una delle sue visioni, nella quale l’intero ambiente veniva ricoperto da una rete bianca. Le Infinity Nets non vogliono rappresentare qualcosa, ma sono il risultato stesso dell’ossessione: un’azione prolungata, ripetuta fino al limite della resistenza fisica e mentale.


Altro soggetto ricorrente è quello delle Pumpkins, le celebri zucche giganti dipinte a pois. Per Kusama, la zucca è un oggetto rassicurante, legato a ricordi d’infanzia e alla semplicità della natura. Ma, come sempre nella sua arte, la forma familiare è subito trasfigurata dalla ripetizione ossessiva dei motivi: ogni zucca è ricoperta da pois ordinati in serie, creando un effetto ipnotico. Anche qui l’ossessione non è solo nel soggetto, ma nella superficie, nella serialità, nel ritmo visivo. Kusama ha scritto: “Amo le zucche. Per me sono forme umili, simpatiche e divertenti. Ma quando le dipingo, diventano infinite.”


Infine, l’opera Narcissus Garden (1966) mette in scena un altro tipo di ossessione: quella per l’identità e il riflesso. L’installazione è composta da centinaia di sfere a specchio disposte a terra o sull’acqua. Ogni sfera riflette chi guarda, l’ambiente circostante e le altre sfere, in un gioco vertiginoso di specchi e sdoppiamenti. All’origine dell’opera c’è l’idea narcisistica del riflettersi, ma nel moltiplicarsi delle immagini Kusama ci mostra quanto fragile e instabile sia il nostro senso del sé. Inizialmente presentata come intervento clandestino alla Biennale di Venezia del 1966, questa installazione si è evoluta nel tempo, restando uno dei suoi lavori più potenti e attuali.
