
“Se stai cercando di fare arte e non sai cosa fare, allora guarda semplicemente quello che stai facendo, perché probabilmente è già arte.”
[Bruce Nauman]
Bruce Nauman è uno di quegli artisti che non si lasciano incasellare. Nato nel 1941 negli Stati Uniti, la sua carriera si è sviluppata a partire dagli anni ’60 e ha spaziato tra scultura, video, performance, installazione e suono, con un approccio sempre inquieto, sperimentale e radicale. È proprio questa continua ricerca – quasi compulsiva – a renderlo così affine al tema che ci ha accompagnato per tutto maggio: le ossessioni.

Per Nauman l’arte non è mai comoda, né tantomeno rassicurante. È un terreno instabile, una zona di tensione tra corpo e mente, tra linguaggio e silenzio, tra ripetizione e isolamento. Le sue opere sono veri e propri esercizi di ossessione. Pensiamo a “Clown Torture” (1987), dove video multipli mostrano un clown che ripete all’infinito frasi banali o urla in modo disturbante. Qui l’ossessione si manifesta nel loop senza via d’uscita, nella sensazione di disagio crescente, come se fossimo intrappolati in una mente che non riesce a fermarsi.

“Cento volte vivere e morire” (One Hundred Live and Die, 1984) è una delle opere più emblematiche di Bruce Nauman, e racchiude perfettamente il cuore del suo pensiero artistico – fatto di ripetizione, ambiguità, tensione mentale – e il legame profondo con il tema dell’ossessione.
L’opera è una grande installazione al neon: 100 frasi brevi, costruite sulla struttura “Live and Die” (vivere e morire), disposte su una griglia luminosa. Alcuni esempi: “Live and Die as a Woman”, “Live and Die in Shame”, “Live and Die and Cry”, “Live and Die and Kill”. Le frasi si accendono e si spengono in sequenza, in un ritmo ipnotico e ansiogeno. A volte parole singole lampeggiano con forza, altre volte tutto si illumina insieme, creando un senso di sovraccarico visivo ed emotivo.

Oppure “Walking in an Exaggerated Manner Around the Perimeter of a Square” (1967-68), una performance filmata dove l’artista cammina in modo innaturale lungo i bordi di un quadrato. Ripetizione, rigidità, controllo: un gesto semplice che diventa subito carico di tensione psicologica. È il corpo che si muove, ma è anche la mente che si scontra con la gabbia delle sue stesse regole.
E ancora “Raw Materials” (2004), l’opera sonora realizzata per la Turbine Hall della Tate Modern, in cui voci registrate creano un paesaggio mentale invadente e straniante. Camminare nello spazio diventa come entrare nella testa dell’artista – o forse nella nostra.
